di Alberto Piscioneri

Neurosystemics n° 17/2020

Il lockdown e il conseguente periodo di lavoro in remoto che abbiamo chiamato fin da subito “Smart Working” ci ha imposto cambiamenti e ripensamenti del modello organizzativi destinati a durare a lungo e ridefinire completamente le nostre routine.

Ma quali sono le prime evidenze dell’impatto che questi mesi hanno avuto sulla nostra quotidianità di lavoro e soprattutto quali sono le prime evidenze circa l’efficacia del lavoro “Smart”?

La ricerca che abbiamo realizzato con lo IEN (Istituto Europeo Neurosistemica) su un campione di 140 intervistati appartenenti a una popolazione eterogenea di lavoratori, rappresenta una base di partenza molto utile per le riflessioni in questo campo anche alla luce di un possibile ritorno diffuso a questa nuova modalità di lavoro.

“Smart ME” – l’individuo

Il lavoro in modalità Smart è stato ampiamente utilizzato da quelle realtà che hanno avuto continuità di lavoro. In particolare l’83% del campione lo ha utilizzato totalmente o parzialmente.

Il parere diffuso è che l’esperienza del “Me Smart”, seppure in emergenza, sia stata positiva. Elementi di soddisfazione si sono riscontrati ampiamente nell’azzeramento dei tempi di trasferimento (punteggio 3,5 su 4), l’autonomia di gestione del tempo (punteggio 3,40 su 4) e un migliorato equilibrio lavoro e famiglia.

Un percepito aumento della produttività (56% si è sentito più o molto più produttivo) è stato registrato soprattutto in relazione a minori distrazioni legate ad interruzioni o contrasti fra colleghi mentre la nostalgia dell’ufficio sembra essere un sentimento tutto sommato meno presente.

Qualche segnale positivo in favore del vecchio ufficio si nota nella possibilità di condivisione coi colleghi, nella miglior separazione di vita privata e lavorativa e nell’ergonomia delle postazioni di lavoro.

Email e video conference sono state di gran lunga gli strumenti più utilizzati e anche apprezzati. Supporti ulteriori sono stati trovati in telefonate, chat e messaggi che sono stati meno ricorrenti e al tempo stesso utilizzati con minor soddisfazione.

La giornata di lavoro ha previsto in media 5 ore di lavoro da soli e 3 ore di interazione con altri (capo, colleghi, partners esterni). Questo elemento di “isolamento” con la possibilità di restare concentrati più facilmente sul proprio compito, come anticipato è il probabile razionale collegato al percepito aumento della produttività.

“Smart WE” – Le Organizzazioni

Tuttavia continuando nella lettura dei risultati della ricerca, ci sono elementi che richiedono qualche approfondimento, in particolare con riferimento al “We Smart”.

Le organizzazioni, quantomeno quelle meno preparate, non hanno provveduto direttamente a indirizzare verso obiettivi specifici e così, nel 63% dei casi, le persone si sono auto organizzate e hanno individualmente generato la loro lista di priorità.

In questo ambito, resta un’area di grande incertezza su come l’auto-direzione e il mancato feedback abbia condotto verso un risultato funzionale all’organizzazione e in linea con le sue priorità.

Un altro dato non incoraggiante è che il 14% conferma che in modalità Smart ha lavorato senza obiettivo o non è riuscito a raggiungere l’obiettivo assegnato.

Questi punti, presi singolarmente, sono possibili campanelli di allarme per le organizzazioni ma risultano ulteriormente critici se letti insieme ad altre dichiarazioni degli intervistati.

Infatti, dalla ricerca emerge che quasi la metà delle aziende (49%) hanno avuto una forte contrazione del fatturato (tra -20% e -80%) e le aspettative per l’anno sono di una chiusura nel 45% dei casi in segno negativo o molto negativo.

In questo clima di forte decelerazione tuttavia, solamente l’8% si dichiara preoccupato che l’azienda abbia problemi sostenibilità nel medio periodo e che il singolo possa perdere il posto di lavoro.

Provando dunque ad accostare il “Me Smart” al “We Smart” ci troviamo davanti ad un quadro che sembra disegnato dalla mano di Pablo Picasso. Un’unica figura, ma formata da parti che non collimano e sembrano generare una certa disarmonica insofferenza.

Il presunto aumento di produttività mal si coniuga infatti con una riduzione del fatturato a doppia cifra. Anche la prospettiva molto negativa sulla performance dell’azienda è difficile da sintonizzare con la mancata percezione della possibilità di chiusura o della possibile perdita di occupazione.

La distanza fra le necessità del singolo: indipendenza, riduzione di costi di spostamento, la possibilità di limitare frequentazioni a volte forzate con capi e colleghi, possibilità di concentrarsi sul proprio compito senza distrazioni e la performance e le utilità che l’organizzazione ritrova anche nella maggior condivisione delle attività vis a vis (maggiore facilità e velocità di comunicazione, possibilità di incontrare e far provare prodotti a clienti o testare quelli di fornitori ecc.) sembra davvero importante.

Certamente la riduzione del fatturato sia in retrospettiva che in prospettiva non è necessariamente collegabile al cambiamento di paradigma lavorativo “Smart” ma soprattutto a modifiche della domanda e della capacità di offerta imposte dalla pandemia Covid-19 in questo stesso frangente.

Tuttavia, le dichiarazioni raccolte rendono visibile e confermano che quando si tratta di essere “Smart”, e dunque di massimizzare le proprie utilità, individui e organizzazioni non sempre partono da posizioni comuni. Più spesso, viceversa, interessi divergenti devono essere riformulati per trovare un vero incontro che generi valore e comune benessere.

La nuova sfida che sembra emergere è dunque quella di guardare ad un futuro dove individui e organizzazioni si muovano verso uno “Smarter way of working”.

La ricerca condotta non approfondisce questo tema ma lascia intravedere possibili aree di miglioramento che, se opportunamente agite, possono accelerare verso “Smarter Organizations”.

Da un lato alle organizzazioni e ai loro leaders il compito di costruire visioni chiare e condivisibili che abbiamo un significato per tutti gli stakeholders: rendere semplice la comprensione di quali azioni i singoli individui debbano mettere in pratica per concretizzarla e rimuovere ogni ostacolo.

Per gli individui la sfida più grande è quella di aumentare la sensibilità del proprio ruolo e contributo in modo da leggere al meglio l’equilibrio incerto e a volte conflittuale tra le proprie esigenze e comodità rispetto a quelle dell’organizzazione e sapere agire consapevolmente al meglio.

La sfida dello “Smarter Together” ancora una volta, ci porta a ragionare su come integrare le nuove tecnologie di lavoro per riuscire ad evolvere verso un miglioramento diffuso del sistema.

Qui si aprono riflessioni più ampie e concettuali che ci portano sui terreni delle Teorie di Organizzazione del Lavoro tratteggiate da Mc Gregor nel suo rinomato trattato dle 1969 “The Human Side of Enterprise” e alle rinomate teorie X e Y.

In questo senso, come recentemente ripreso in un articolo sull’Harvard Business Review (“Stop overengineering People Management; Peter Cappelli; HBR Set_Ott2020), l’equilibrio da trovare è tra delega e controllo, tra utilità individuale e finalità aziendale in un continuo aggiustamento.

Leaders e organizzazioni che sapranno applicare le nuove modalità di lavoro in remoto (che abbiamo definito Smart) valorizzandone gli importanti vantaggi e allo stesso tempo costruire sulla centralità dell’esperienza di condivisione e di contatto personale, saranno le prime “Smarter Working Organizations”.