di Marco Rotondi

Neurosystemics n° 27/2025

Recentemente mi hanno chiesto di partecipare a due importanti convegni nazionali per intervenire sul tema dell’innovazione della formazione.
La cosa mi ha fatto riflettere molto perché venticinque anni fa, in occasione di un convegno simile tenutosi all’Università Cattolica di Milano, affrontammo esattamente lo stesso tema e, da allora, la cosa si è ripetuta spesso. Evidentemente il tema dell’innovazione della formazione è un leitmotiv visto che oggi sembra ancora più attuale che mai. Ho allora trasformato il mio intervento in un laboratorio per riflettere insieme su questo fatto e provare a metterne a fuoco il perché.

Perché innovare la formazione?
Certo viviamo in un mondo in continuo cambiamento (tecnologico, culturale e sociale) e tutto deve continuamente adattarsi a questi mutamenti. Le persone oggi hanno ritmi, tempi, compiti, strumenti, interessi e attenzioni diverse, ma questo riguarda un po’ tutti i settori lavorativi e non solo lavorativi. Risulta allora evidente che anche la formazione, così come il resto, debba tener conto dei nuovi media e strumenti vari disponibili per la sua “distribuzione” e conseguentemente adottare anche nuove modalità realizzative e affrontare nuovi temi come per esempio la transizione digitale o ecologica.
C’è poi il fatto che oggi ogni prodotto o servizio lanciato sul mercato inizia con la parola “nuovo” perché si pensa che ciò renda automaticamente più attrattivo il prodotto o servizio, anche se talvolta (anzi, alcuni dicono spesso) le nuove versioni risultano poi in realtà peggiori delle precedenti. Per questo è comprensibile che, anche chi si occupa di formazione, voglia prodotti “nuovi” in modo da poterli vendere più facilmente…
Accanto a queste due comprensibili (e facili) motivazioni sempre valide in ogni settore e in ogni epoca, durante il laboratorio, è però emersa anche una ragione più profonda e nascosta ma forse più determinante: “non siamo soddisfatti dell’attuale formazione” perché troppo spesso, non tocca i vissuti, non stimola l’apprendimento, non fa sviluppo, non fa crescere davvero le persone.
Nel voler innovare la formazione si cerca allora come poter far meglio, come trovare un senso nuovo e più profondo per il proprio operare.

Cosa si vorrebbe trovare in una “nuova formazione”
I principali filoni emersi durante il laboratorio possono essere così sintetizzati:

  • esperienze di apprendimento autentiche, personalizzate e coinvolgenti,
  • percorsi centrati sull’esperienza diretta, concretamente collegata alla situazione lavorativa e privata dei partecipanti,
  • situazioni capaci di stimolare curiosità, creatività, motivazione e benessere per le persone.

Cosa fare allora per realizzarla?
Le indicazioni provocatoriamente date 25 anni fa mi sembra che rimangono sostanzialmente ancora valide:

  • cambiare nome: da “fare formazione” a “facilitare l’apprendimento”, dal teaching (insegnamento) al learning (apprendimento); sappiamo bene che le parole modellano e non c’è niente a cui dobbiamo dare forma, non c’è nessuno da plasmare, ma ci sono circuiti neuronali da attivare e accendere; l’apprendimento avviene solo quando le persone sono coinvolte, motivate e ingaggiate; senza attivazione neuronale, non c’è apprendimento; non si può insegnare niente a qualcuno che non vuole apprendere.
  • cambiare modelli mentali di riferimento:
    • dal trasferire le competenze ad accendere la voglia di apprendere: non ci sono teste vuote da riempire, il nostro cervello non è una valigia, ma una rete di circuiti neuronali da attivare;
    • dalla necessità di luoghi e tempi specifici dedicati alla formazione all’integrazione temporale e spaziale fra lavoro e apprendimento: non abbiamo bisogno di cattedrali (le Business School) della formazione ma di stimolare l’apprendimento sempre e dovunque; niente di nuovo: Socrate insegnava camminando per le vie di Atene;
    • dalla formazione obbligata, comandata e standardizzata allo sviluppo scelto, voluto, individuale.
  • cambiare modi: utilizzare non lezioni d’aula top down ma metodologie che sviluppino:
    • scouting motivazionale con ancoraggio al campo esperienziale e motivazionale individuale delle persone,
    • attivazione bipolare sia logico-razionale, sia analogico-intuitivo,
    • equilibrio delle funzioni cerebrali: recepire, agire, elaborare, ricordare,
    • multiplanarità dei percorsi formativi sui piani: mentale, relazionale, emotivo, energetico, fisico,
    • una comunicazione che copra tutti i canali sensoriali preferenziali delle persone.

 

Anche qui niente di nuovo, già Kurt Hahn (1941) e Daniel Kolb (1976) li praticavano.
Un esempio attuale è l’Outdoor Management Training® (OMT®), che si fonda sull’azione, sull’osservazione (videoregistrazioni, confronti, feedback) e sull’estrazione di linee guida (rielaborazione a caldo e a distanza) per far meglio in futuro; in questo tipo di formazione l’esperienza diretta, la metafora, la concretezza e l’auto-osservazione sono elementi chiave che permettono alle persone di attivarsi, mettersi in gioco e crescere.

Innovare significa cambiare noi formatori per primi
Ma se dopo un quarto di secolo ancora si parla di “innovare la formazione” e di “formazione attuale inadeguata e non soddisfacente”, allora forse la vera innovazione che dobbiamo realizzare è quella che parte da noi stessi.
Siamo noi formatori che dobbiamo cambiare per primi.
Dobbiamo cambiare il nostro modo di percepirci e quindi di porci verso gli altri: non come docenti ma come allenatori, stimolatori, attivatori di empowerment e di sviluppo di benessere delle persone.
Dobbiamo cambiare il nostro ruolo: da spottisti, professionisti che intervengono su ambiti/bisogni limitati con un intervento (che inizia e poi si conclude) e poi se ne vanno (consulenti) o passano ad altre richieste (formatori aziendali) a registi:

  • del posto di lavoro individuale, per creare spazi dove si lavora e si impara insieme, dove la persona si senta ingaggiata dall’azienda e apprenda qualcosa di nuovo ogni giorno e diventi così sempre più competente (Work Learning Place);
  • delle Unità Organizzative, uffici e servizi, per favorire la nascita di Learning Community, gruppi che condividono conoscenze e difficoltà, costruendo apprendimento collettivo, crescendo e diventando migliori; veri team e vere cellule dell’apprendimento comune;
  • delle aziende e delle organizzazioni, per accompagnarle verso modelli di Learning Organization e Wellness Organization, perché diventino delle organizzazioni di knowledge management capaci di valorizzare il sapere e il benessere delle persone. Negli anni Cinquanta, Adriano Olivetti aveva già intuito la forza di una organizzazione che apprende. La sua azienda era una comunità dove l’innovazione nasceva dal benessere e dalla collaborazione. È grazie a questa visione che l’Olivetti realizzò il primo computer a transistor (Elea 9003) e il primo personal computer al mondo (P101), anticipando l’idea stessa di Learning Organization. Un modello di azienda ancora oggi straordinariamente attuale.

Conclusione
La conclusione a cui siamo arrivati è che innovare la formazione non significa tanto l’utilizzo dei nuovi media, dei nuovi strumenti, o l’affrontare i nuovi temi e tanto meno rincorrere il nuovo per il nuovo; queste sono cose normali e naturali che ci sono sempre state e sempre ci saranno e si chiamano “aggiornamento”, “attualizzazione”, “non ripetizione del vecchio”.
Innovare la formazione vuol dire praticare una formazione più soddisfacente, cambiando nome, modelli di riferimento e metodi per costruire percorsi per aiutare le persone a crescere, a svilupparsi, a rafforzarsi, a trovare un senso per il proprio apprendere, a trovare una strada per il proprio benessere.
Per questo la cosa più importante da fare è cambiare ciascuno di noi, formatori e professionisti dell’apprendimento, innovando il nostro modo di percepirci/porci e quindi il nostro ruolo.