di Marco Rotondi

Neurosystemics n° 14/2019


Un elemento significativo su cui i leader devono riflettere è il fattore della coerenza. Spesso si dice che le persone nelle organizzazioni sono “resistenti al cambiamento”; noi pensiamo che questa sia una etichetta facile posta per nascondere una situazione più difficile: le persone sono sottoposte ad un insieme di messaggi discordanti che creano una grande confusione ed una situazione di grave incertezza davanti alla quale la risposta più prudente risulta essere il “non fare nulla e attendere” che si chiariscano le cose, che i contendenti si mettano d’accordo, che i messaggi lentamente si riallineino; quindi sarebbe più opportuno dire che di fronte al cambiamento le persone, se mai, mancano d’iniziativa, non si danno da fare per comporre loro le contraddizioni, per capire loro qual è il messaggio giusto, in poche parole per diventare loro i leader del cambiamento. Per poter essere seguiti, invece, occorre prendersi cura della coerenza dei messaggi.

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La strada stretta delle tre coerenze

Ci sono diverse tipologie di coerenza da dover monitorare per difendere la propria credibilità e guidare un cambiamento con successo. La prima è quella a cui accennavamo sopra e che potremmo chiamare coerenza contemporanea: l’allineamento, cioè, fra i messaggi che contemporaneamente arrivano alle persone dalle diverse fonti ufficiali o ufficiose, dirette e indirette della comunicazione aziendale. Rendere non uguali, ma congruenti le diversità e le peculiarità della comunicazione di tutti gli attori coinvolti è un’opera non da poco che un leader deve saper presidiare; richiede una elevata sensibilità comunicativa e relazionale e la capacità di sintonizzare diverse culture e opinioni verso mete e stili condivisi.

Una seconda capacità da sviluppare è la coerenza nel tempo: non smentire le cose precedentemente dette, non dire un giorno una cosa e il giorno dopo il suo contrario; sembra una pratica semplice ma, è poco diffusa presso i manager e presso i politici italiani: probabilmente, nell’ubriacatura del potere, si pensa che sia normale negare di aver detto delle cose che si sono dette (e magari sono state anche registrate e viste da tutti in TV) il giorno prima; il risultato è la perdita di affidabilità della fonte e lo svilimento della stessa arena comunicativa con un aumento del distacco e della lontananza dalla responsabilità della “cosa pubblica” o del “bene aziendale” e un crollo del coinvolgimento e della partecipazione. Non sappiamo se tali manager e politici applichino questa strategia in buona fede (cioè siano degli incapaci) o in mala fede (cioè agiscano così conoscendo bene i risultati che tale comportamento produce e volendolo ottenere); di certo però producono quell’allontanamento dalla politica o dall’appartenenza aziendale che, a parole, dicono di voler combattere. Essere coerenti nel tempo, naturalmente, non vuol dire diventare rigidi e restare fissati sulle proprie posizioni a priori, credendo così di poter dimostrare che non si sbaglia mai; anzi, sappiamo bene che avviene l’esatto contrario: la coerenza emerge dal fatto che ci si dimostra interessati realmente alla soluzione dei problemi e, quindi, si è capaci di cambiare opinione quando si vede che un’altra idea è migliore della propria; nell’ammissione del nostro errore aumentiamo la nostra credibilità di leader e comunichiamo il nostro posizionamento sopra le parti per l’interesse comune; così facendo, inoltre, non delegittimiamo il processo comunicativo come inutile e fittizio (come invece avviene nell’altro caso) ma anzi lo rafforziamo utilizzandolo come uno strumento utile, una mappa di riferimento comune per un confronto reale e profittevole fra le persone.

Una terza area dell’essere coerenti riguarda quella che viene chiamata la coerenza fra il dire e il fare: i “follower” sono stufi di capi che dicono una cosa e poi ne fanno una opposta, di decaloghi e proclami che vengono smentiti per primi proprio dalle azioni di quelli che dovrebbero esserne i promotori e gli esempi. Per questo, ormai, le persone pongono molta più attenzione a quello che i capi fanno piuttosto che a quello che dicono. Contano i fatti, i risultati finali; per questo giudichiamo più credibili le informazioni che raccogliamo direttamente dalle persone che lavorano dentro un’azienda rispetto a quelle che sulla stessa azienda vengono riportate sui giornali o dalla televisione. Sappiamo infatti che c’è una facciata ufficiale, quella che magari fa vincere premi e award alle aziende, e una realtà sostanziale, quella che i dipendenti di quell’azienda vivono ogni giorno sul proprio posto di lavoro. Due immagini spesso molto distanti… Presidiare quest’area fra il promettere e il mantenere le promesse, varcare il mare fra il dire e il fare è un compito imprescindibile per chi vuole guidare un cambiamento, ma è anche difficile e insidioso; non solo perché per ognuno è difficile essere completamente coerenti nella propria vita, non solo perché più si sale nelle organizzazioni e nella società, più si diventa noti e più facile diventa il fatto che qualcuno, cercando e frugando, trovi qualche incoerenza (o qualcosa che strumentalmente lo possa sembrare), ma soprattutto perché si chiede al leader anche la responsabilità dei comportamenti e della vita di tutta la sua squadra. Ecco allora che il richiamo ai valori e ai codici etici diventa essenziale, e il loro rispetto in forma integrale diventa l’elemento costitutivo per un patto di cambiamento di cui ci si possa fidare.