di Marco Rotondi

Neurosystemics n° 15/2019


La (ri)costruzione della squadra

Molto è stato scritto sulla costruzione di un team e sulla scelta più opportuna dei suoi membri; certo, potendolo fare, è molto importante prendersi cura di ciò. Nella maggior parte dei casi, però, il team ce lo troviamo già fatto: sia che si tratti di una squadra di calcio, dell’equipe di una sala chirurgica o del gruppo dei direttori di funzione di un CEO spesso la quasi totalità delle persone che fanno parte del team, per un motivo od un altro, è già definita. Probabilmente possiamo cambiarne qualcuno, inserire qualche elemento nuovo, creare un nuovo schema di gioco, costruire un diverso clima, ma… dobbiamo fare il fuoco con la legna che abbiamo a disposizione. Che fare allora? Dopo tanti anni di esperienze sul campo in proposito, mi sono ormai convinto che una delle migliori strategie in proposito sia “fare come se gli avessi scelti davvero io“; trovare quindi la situazione giusta ed il tempo necessario per incontrarli uno a uno e conoscerli a fondo per poter individuare quale potrebbe essere poi il nuovo “patto di squadra” da proporre loro. Infatti, anche se sono lì da molto tempo, in genere nessuno si è veramente interessato a loro, ai loro talenti, desideri, alle loro vere potenzialità. Ecco che, allora, la ricostruzione dei presupposti indispensabili per creare un team efficace diventa il primo passo determinante da fare. Prendiamoci il tempo che ci vuole, magari facciamoci aiutare anche da loro a mettere a fuoco quelle che potrebbero essere le fondamenta indispensabili per riuscire poi a lavorare effettivamente in team in modo efficace. Considerare e far considerare il team come nuovo, scrivere e siglare un nuovo patto di squadra, scoprire e sottoscrivere i valori comuni, creare un evento di nascita effettiva per il team e costruire insieme un nuovo piano strategico, diventano allora i successivi passi indispensabili, capaci di generare nuova vitalità ed energia anche per i gruppi più stanchi e adagiati.

 

La manutenzione del team

Una volta generata così la fiducia dei membri del team nei confronti del loro team-leader, inizia, allora, il lavoro vero e proprio: occorre dedicarsi senza risparmio ad una continua manutenzione della vita di team ed alla creazione di un buon clima (un clima cioè insieme tonico e rassicurante). Il fatto di porsi alla pari, di ascoltare e chiedere le opinioni degli altri, di chiedere sempre il “perché”, di consultarli e discutere con loro prima di prendere le decisioni importanti, di non essere decisionisti impulsivi e solitari, tutto ciò indubbiamente stimola i contributi dei componenti di un team e li valorizza. Questo modo di comportarsi del leader, infatti, soddisfa i bisogni di apprezzamento e di riconoscimento dei risultati che ognuno di noi ha, e sgonfia spesso anche le spinte egocentriche ed egoiche a cercare apprezzamenti fuori dalla propria squadra e dal rapporto col proprio capo e coi propri colleghi.
Quando, invece, il nostro capo non ci gratifica, non ci fa sentire bravi quando facciamo bene, non ci valorizza e non ci fa crescere, allora spesso diventa naturale iniziare a correre per conto nostro, magari rilasciando dichiarazioni impietose o facendo trapelare notizie indiscrete in cerca di quella visibilità e di quei riconoscimenti che il nostro capo non ci ha saputo offrire. La capacità del capo di ascoltare gli altri senza riguardo alla gerarchia, di delegare al massimo, di porre domande per capire meglio, la sensibilità di sentire empaticamente la “temperatura” delle persone, di trattare familiarmente i suoi collaboratori e di far sentire tutti i membri del team come personalmente vicini a lui, il porsi alla pari, come un primo fra uguali, produce indubbiamente motivazione e soddisfazione. D’altra parte occorre anche saper esercitare un’autorevolezza naturale e “non costruita” che si può facilmente notare dal fatto che nessuno si dimentica mai chi sia il leader. Del resto questo mix, insieme a: la voglia di imparare dagli errori senza però soffermarcisi troppo a lungo, la capacità di tenere insieme persone molto diverse, la sensibilità per far entrare nella squadra anche nuovi professionisti di elevata eccellenza facendo loro accettare le regole del team, indica il possesso di uno stile di leadership fortemente basato sulla fiducia nella potenza del lavoro di team.

 

Un modello per la guida del team

Se si è stati capaci di costruire e manutenere una squadra, questa risponde sempre molto più generosamente di quanto ci si sarebbe potuto aspettare e i risultati ottenuti dal team  in genere ricompensano largamente gli sforzi compiuti. Possiamo allora entrare nella fase di funzionamento ordinario del team e dedicarci al suo monitoraggio, sviluppo. potenziamento. Per guidare la squadra verso queste ulteriori mete può risultare utile, allora, adottare come modello operativo di riferimento quello sviluppato dall’Istituto Europeo Neurosistemica sulla base dello studio e dell’osservazione di alcuni High Performance Team che è stato chiamato TAM® (Team Al Meglio) (fig. 1).

Fig. 1 – Le tre Aree Critiche di Successo del modello TAM® (Team Al Meglio®)

Misurazione e controllo dei risultati, velocità nella risoluzione dei problemi in gruppo, empatia per il clima, sincronizzazione delle energie delle persone, creazione di armonia e supporto reciproco, ed infine l’attenzione ai processi e alle dinamiche di gruppo, all’innovazione e all’autenticità, sono solo alcune delle principali dimensioni che occorre presidiare per far crescere la nostra squadra, potenziarla e pian piano trasformarla in un High Performance Team.

 

La difficoltà di produrre cambiamenti

“Prima ti ignorano, poi ridono di te, poi ti combattono, poi tu vinci” – diceva Gandhi – e noi aggiungeremmo: “e poi arrivano tutti!” Abbiamo più volte ricordato l’importanza della credibilità di un leader quando deve guidare un cambiamento, sottolineandone in particolare l’impatto significativo che ciò ha sulle altre persone. È opportuno, ora, completare questo ragionamento; “credere fino in fondo nel nostro progetto di cambiamento” risulta, infatti, determinante anche nei confronti si sé stessi. La strada che porta ad un processo di cambiamento vincente è, infatti, lunga e insidiosa. Le strategie che le altre persone, in buona o in mala fede, adottano per neutralizzare i cambiamenti-disturbi sono le più svariate:

  • il silenzio e l’ indifferenza,
  • le non risposte, non prendere in considerazione,
  • deridere,
  • non essere interessati,
  • non avere tempo, tirarsi fuori,
  • escludersi, distinguersi,
  • rinviare,
  • sconsigliare,
  • evidenziare tutti gli ostacoli e i fallimenti già avvenuti,
  • sottolineare le complessità esistenti, la molteplicità delle persone coinvolte,
  • indicare tutti gli interessi pesanti contrari, gli ingenti fondi necessari,

ma tutte mirano allo stesso scopo: a farti desistere. Forse, a livello sistemico, potremmo considerare ciò anche utile per l’effetto benefico di filtraggio che appunto produce, stoppando tutti quei progetti che sono insicuri, inutili, manipolativi, controproducenti, superficiali; progetti in cui neanche lo stesso team-leader crede e che quindi si arenano presto davanti alle prime difficoltà. Dal punto di vista del leader che vuole realizzare il cambiamento, invece, sono momenti molto duri e difficili, di solitudine e a volte di sconforto, in cui il pensiero di abbandonare e di cedere è sempre in agguato dentro e attorno a noi; se in quei momenti non pensiamo di avere davvero qualcosa di importante da dire, se non pensiamo che il nostro progetto di cambiamento serva a qualcosa che vada al di là dei semplici interessi nostri o di qualcun altro, allora sarà facile che il nostro cambiamento si sciolga al primo sole. Quale che sia il cambiamento che vogliamo realizzare, dobbiamo essere consapevoli che dovremo superare numerose difficoltà lungo tutto il percorso di cambiamento; proviamo a censire le principali:

  • le difficoltà iniziali per emergere dal “branco”, dalla confusione comunicativa generale, dall’oceano di potenzialità che sono sempre presenti non solo in noi ma anche nei nostri competitori,
  • le difficoltà ad accreditarci, a far diventare il nostro progetto un’ipotesi che possa essere presa in considerazione,
  • le difficoltà a farci dire di sì, ad arruolare le persone migliori per il nostro change team,
  • le difficoltà ad andare avanti quando i risultati non sono quelli attesi e desiderati,
  • le difficoltà a guadagnare la maggioranza della popolazione coinvolta dal cambiamento,
  • le difficoltà nel raccogliere le risorse necessarie,

 

Il coraggio e la tenacia di cercare sempre nuovi modi

Probabilmente potremmo continuare la lista ancora per molte pagine. Ma attenzione, guardare in faccia le difficoltà è pericoloso, si rischia di amplificarle, di rimanere pietrificati (come nel mito greco davanti alla medusa), incapaci di reagire, paralizzati dalla paura di non farcela per la vastità dell’impegno richiesto. Ci vuole del coraggio; ci vuole la stoffa del leader, di quello che guarda la mappa per primo, vede dove sono gli ostacoli, ma poi si concentra sul passaggio possibile, sposta la sua attenzione sulla strada lungo la quale è possibile farcela. Se allora guardiamo con questi occhi alle difficoltà e ne prendiamo atto possiamo prepararci a superarle meglio; guardando con questi occhi scopriamo presto che in effetti dietro ad ogni difficoltà c’è solo un lavoro da fare in più e dobbiamo essere capaci di farlo bene per riuscire a superarla. Le difficoltà ci saranno lungo tutto il percorso di cambiamento, non ci abbandonano mai, ma guardandole così non ci fanno più paura, diventano un test continuo per verificare la nostra etica, la nostra capacità di servizio, la robustezza manageriale, la tenuta emotiva, la perseveranza, in altre parole la nostra leadership. Essere tenaci vuol dire allora essere capaci di superare le difficoltà senza abbattersi, ma attenzione, la tenacia non è l’ostinata rigidità di chi continua a sbattere la testa contro lo stesso muro pensando che, prima o poi, cederà il muro. Perseveranza vuol dire la flessibilità di cercare nuovi modi e strade diverse da quelle che avevamo pensato inizialmente (e che si sono rivelate inefficaci) per arrivare comunque alle mete prefissate. Scopriamo, allora, come il cammino per essere il leader di un gruppo passi prima da un percorso per la propria crescita personale; l’interdipendenza di reciproco rafforzamento o indebolimento fra questi due elementi risulta. infatti molto forte.