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16 novembre 2015

In occasione del convegno IEN  “Qualità della vita, Qualità del lavoro” Guido Amoretti, professore ordinario di Psicologia generale e di Psicologia del ciclo di vita dell’Università di Genova,nonché direttore del Disfor, ha affrontato il tema della memoria.

Per avere una vecchiaia di qualità è necessario curare l’aspetto preventivo. Non solo per cercare di avere una vecchiaia caratterizzata da autonomia e da assenza di problemi, ma anche per diminuire i costi sanitari associati alla lungodegenza che sono già molto elevati. La prevenzione va fatta adesso per avere risultati tra anni. La prevenzione si traduce in comportamenti virtuosi sia dal punto di vista fisico sia da quello cognitivo. Dopo i 25-30 anni c’è un declino a livello neuronale che comporta un rallentamento di trasmissione.

Invecchiando non si hanno più gli stessi mezzi di attenzione e velocità di acquisizione che si hanno da giovani e per apprendere una cosa ci vuole più impegno. Qui entra in gioco la capacità di accettare l’idea che si cambia e che questo cambiamento prevede degli adattamenti. Per questo è importante allenare il nostro cervello così come alleniamo il nostro fisico; più usiamo il cervello più questo si conserva in età avanzata. Per questo è importantissimo favorire sempre l’apprendimento permanente.

Quali sono i problemi dell’invecchiamento e le cause alla base di tali problemi?

Con l’invecchiamento cala l’attenzione, cala l’aspetto percettivo e si riduce la capacità di essere veloci. Questo si traduce in un gap per l’anziano che non necessariamente è dovuto al fatto che il cervello non funzioni più adeguatamente, ma dal fatto che l’informazione in ingresso non viene elaborata così velocemente come prima.

Questo deficit viene in parte compensato dalla strategia che aumenta con l’esperienza. Ma il problema si presenta quando, arrivati ad una certa età, non si sceglie più la strategia più appropriata, ma si predilige sempre la stessa strategia. Il giovane ha meno strategie, però è capace di passare rapidamente da una all’altra riuscendo così a trarre vantaggio dalle poche strategie possedute mentre l’anziano tende ad essere più stereotipato.

Poi c’è il problema dell’accettazione dell’invecchiamento in una cultura come quella attuale in cui il mito che ci viene proposto è quello dei giovani. Questa difficoltà di accettazione si traduce in una difficoltà ad adeguarsi ai cambiamenti che potrebbero essere superati se utilizzassimo delle strategie che tengono conto del cambiamento che abbiamo subito.

Quando ci muoviamo nel mondo tutto ciò che ci circonda manda dei segnali che vengono chiamati input; questi vengono letti dalla memoria sensoriale che traduce i segnali fisici in un linguaggio comprensibile e li trasmette alla memoria a breve termine. L’informazione passa quindi nella memoria a breve termine, dove rimane per poco tempo e dove possono rimanere conservate solamente poche informazioni (dai 5 ai 9 elementi). Questo perché la memoria a breve termine è una memoria di lavoro in cui l’informazione viene modificata, elaborata e si cerca di collegarla a delle categorie per immagazzinarla. Mentre la memoria a lungo termine ha una capacità teoricamente infinita, quella a breve termine ha una capacità limitata e grazie all’inibizione vengono eliminati gli elementi irrilevanti.

Invecchiando, non si riesce più ad eleminare con efficienza tutto quello che non serve e pertanto i nostri sistemi di elaborazione si ritrovano a dover elaborare informazioni che spesso non sono necessarie, quando allo stesso tempo, le nostre capacità di elaborazione si sono ridotte. Semplificando quindi, il problema dell’invecchiamento consiste nella perdita di efficienza nel segmento della memoria a breve termine. 

E’ possibile migliorare la memoria degli anziani?

Ci sono diverse scuole di pensiero e si possono impiegare diverse tecniche e metodi ugualmente efficaci. Il più famoso è quello di Cicerone, famoso perché riusciva a fare le sue arringhe senza lasciare indietro nessun argomento fondamentale. Il suo trucco era memorizzare la pianta della sua villa ed inserire in ogni stanza tutti gli argomenti secondo un percorso che conosceva bene. Un altro sistema è quello di attivazione tramite esercizi: continuare a tenersi allenati, non chiudersi in se stessi e fare cose che mantengono attivo il nostro cervello. In conclusione, sia l’allenamento fisico che l’attività mentale possono essere gli elementi vitali per la conservazione di una buona qualità della vita il più a lungo possibile.