di Marco Rotondi

Neurosystemics n° 23/2023

Troppo spesso ormai la parola formazione ha perso sostanza facendo evaporare il suo correlato ad un vero apprendimento. La grande diffusione che hanno avuto gli aggiornamenti obbligatori, i vari ECM o le certificazioni formative, indispensabili per poter accedere o mantenere certi ruoli, hanno ormai trasformato la percezione automatica che abbiamo della parola formazione in una sorta di “scuola obbligatoria”; solo che a partecipare non sono bambini o ragazzi ma adulti.

Facciamo corsi fad per la sicurezza, per l’igiene, per la qualità, per gli albi professionali, per il ruolo lavorativo; magari, mentre li facciamo, rispondiamo al telefono, guardiamo le mail, aggiorniamo i social, leggiamo le ultime notizie. Probabilmente un apprendimento c’è stato: è molto migliorata la nostra capacità di fare più cose contemporaneamente lavorando in multitasking.

Sosteniamo varie prove, che vengono chiamate di verifica dell’apprendimento, rispondendo a batterie di innumerevoli domande; forse questi test che affrontiamo si dovrebbero chiamare, invece, verifica di memorizzazione temporanea di nozioni. Probabilmente, quindi, è anche migliorata la nostra capacità di memorizzazione rapida; ma l’apprendimento è un’altra cosa.

Mi autodenuncio: ho fatto tantissimi corsi per raccogliere vari crediti formativi obbligatori facendo altre cose (abbastanza bene); sono diventato una macchina capace di passare esami e test nozionistici (tolti quelli che fanno riferimento alle trasmissioni televisive) con una certa agilità, anche senza sentire nulla delle lezioni corrispondenti. Alcuni anni fa in una “tre giorni” epica sono stato costretto a seguire più corsi contemporaneamente su diversi computer per poter raccogliere gli 80 crediti formativi obbligatori che scadevano e di cui mi ero completamente dimenticato.

Forse ci siamo fatti influenzare troppo da alcune prassi di oltreoceano o ci siamo fatti incantare dalla sirena delle pillole formative, dalla cultura che la soluzione ed il cambiamento siano fuori di noi e che sia sufficiente, per cambiare, l’intervento di qualcosa di esterno che agisca su di noi, che restiamo passivi semplicemente a riceverlo. Così come avviene per la salute delle persone. Pensare che, per guarire, basti ingerire una pillola, pensare che, per apprendere, basti una pillola formativa, pensare che, per far imparare qualcosa ad una persona, basti sommergerla di un flusso interminabile di parole e di test nozionistici.

Impossibile costringere qualcuno ad imparare qualcosa che non gli interessa. Occorre percorrere altre strade.

Questo overspending incredibile della nostra società per le medicine è combattuto da pochi; fra questi pochi, come non ricordare quella campagna pubblicitaria coraggiosa, promossa dalla Regione Toscana, che diceva “Più testa, meno farmaci”; campagna che fu attaccata duramente da una serie di professori e medici che, poi, si scoprì fossero stati pagati dalle aziende farmaceutiche.

Così, questo robusto dosaggio di formazione obbligatoria va togliendo vigore alle capacità delle persone di apprendere davvero, alle buone pratiche di scanning e radicamento motivazionale, ai processi di collegamento con le esperienze concrete, con la sincronizzazione coi valori profondi e le emozioni delle persone.

L’ottantacinquenne David Kolb si agiterà profondamente dalle colline dell’Illinois: tanti studi, ricerche approfondite e fatiche di diffusione dei risultati per nulla!

Spesso, allora, per distinguere la formazione “vera”, oggi, siamo costretti a cambiar nome: parliamo, appunto, di apprendimento o di sviluppo di competenze oppure aggiungiamo un aggettivo: formazione attivante, formazione esperienziale, formazione individualizzata.